Coprifuoco: etimologia comparata

In questo anno delicato in cui le nostre vite sono cambiate profondamente, anche la lingua ha subito dei cambiamenti. Ci siamo abituati a termini stranieri riadattati (o meno) al nostro idioma.
Non abbiamo paura di usare parole come lockdown, smart-working, e-learning, drive-in e drive-through, solo per citarne alcune. Altre soffrono un mutamento semantico: ricevere un messaggio come “Sono positivo” adesso ci fa paura, mentre fino a qualche mese fa dava un messaggio di speranza. Questi cambiamenti sono normali nelle lingue, dato che esse sono lo strumento che gli esseri umani usano per esprimersi. Lo racconta Vera Gheno, sociolinguista, in un’intervista per Wired:


Tra lingua e società esiste sicuramente uno stretto rapporto, che si muove, però, in entrambe le direzioni. Da una parte, la lingua registra ogni cambiamento sociale e ne conserva traccia: quando ci troviamo di fronte a un concetto nuovo, abbiamo bisogno che la nostra lingua si modifichi per poterlo esprimere e quindi nascono parole nuove; oppure accade che parole che prima avevano un significato lo cambino e lo adattino a nuovi contesti (è il fenomeno che in linguistica si chiama slittamento semantico, o risemantizzazione funzionale). Ma accade anche che sia la lingua a influenzare il nostro modo di percepire la realtà, mettendone a fuoco alcuni aspetti che, senza una parola o un’espressione di riferimento, resterebbero sullo sfondo e sarebbero meno percepibili. Questo scambio bidirezionale tra lingua e società avviene di continuo ed è il segno di una lingua efficace e vitale, che riesce ad adattarsi alla realtà e a rispecchiarla.

Vera Gheno, sociolinguista

Il campo lessicale della guerra, soprattutto nel primo momento della pandemia, ci è servito per descrivere il tragico momento che iniziavamo a vivere. Medici e infermieri in trincea, in prima linea erano prima pronti a combattere, mentre ora sono stremati dalla battaglia.

Nelle ultime settimane è saltato alla cronaca l’uso della parola coprifuoco: linguisticamente, in italiano è una parola composta dal verbo “coprire” e dall’oggetto “fuoco”: rende bene l’idea di spegnere delle fiamme, evidentemente per evitare mali peggiori. Ci basta consultare il vocabolario Treccani per scoprire la storia del termine:

Usanza medievale per cui, a una determinata ora della sera, gli abitanti di una città erano tenuti a coprire il fuoco con la cenere per evitare incendi; anche il segnale (suono di campane o altro) con cui s’intimava il coprifuoco

Treccani.it

Il fuoco, di solito portatore di vita, nelle città medievali era spesso legato alla distruzione, così come il suono delle campane spesso avvisava dei possibili saccheggi.

Il dizionario Treccani ci presenta anche la possibile etimologia della parola, che pare non essere direttamente italiana, ma derivata dal francese coverfeu. Il termine italiano sarebbe così un prestito linguistico adattato alla lingua italiana traducendo i due termini che costituiscono l’espressione. Un’altra lingua che ha adottato il termine francese, questa volta adattando la parola alla pronuncia, è l’inglese: da coverfeu a curfew, come spiega il dizionario Merriam-Webster.

È interessante notare che in non tutte le lingue europee sia presente l’idea di coprire il fuoco per evitare gli incendi. In spagnolo il termine è toque de queda, simile al portoghese toque de recolher, ed entrambi richiamano il lessico militare. Il “toque” a cui si fa riferimento è il suono di una sirena o di una campana che, in circostanze straordinarie, segnalava alla popolazione l’obbligo di rimanere a casa, in spagnolo “quedarse”, o di fare ritorno alle abitazioni, come può ricordare il “recolher” portoghese.

In euskera possiamo trovare tre espressioni: etxeratze-agindu (“etxe”, casa, “ra”, verso, “tze”, per, “agindu”, ordine: ordine per tornare a casa), kera-dei (“kera”, conclusione, “dei”, richiamo: richiamo alla conclusione) e isildei (“isil”, silenzio, “dei”, richiamo: richiamo al silenzio). Tutte e tre ci ricordano il richiamo militare o l’obbligo di cessare le attività.

In tedesco, coprifuoco si può tradurre con ausgangssperre, letteralmente “barriera all’uscita” o ausgehverbot, divieto di uscire. In sloveno il termine è policijska ura, mentre in polacco è godzina policyjna. In entrambi i casi, il riferimento all'”ora della polizia” fa venire la pelle d’oca e ci ricorda il passato difficile dei paesi dell’Est Europa.

Potremmo andare avanti per ore parlando dell’etimologia della parola “coprifuoco” nelle diverse lingue: possiamo però trovare dei punti in comune. La maggior parte delle lingue rimanda a un lessico puramente militare, legato all’obbligo di rimanere in casa, mentre in quelle che hanno adottato il termine dal francese rimane il significato di misura preventiva per evitare mali maggiori.

In ogni caso, è sempre una misura obbligata in un momento di emergenza: non ci deve sorprendere l’ostilità che questo termine suscita in tutto il mondo perché risveglia, anche incoscientemente, ricordi della nostra memoria collettiva.

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